Come Roger Federer ha iniziato a giocare a tennis

Come Roger Federer ha iniziato a giocare a tennis nov, 7 2025 -0 Commenti

Quando si pensa a Roger Federer, si immagina subito la grazia, il dritto vincente, i cinque Wimbledon consecutivi. Ma prima di diventare leggenda, era solo un ragazzino svizzero con una racchetta in mano e un sogno impossibile: battere i grandi del tennis. Non è nato con un talento innato, né è stato mandato in una scuola elitaria. La sua storia inizia in un piccolo club di Basilea, tra prati verdi, racchette troppo grandi e un papà che gli ha dato la prima lezione senza sapere che stava facendo nascere un genio.

La prima racchetta: un regalo di Natale

Federer è nato il 8 agosto 1981 a Basilea, in Svizzera. Non era un bambino particolarmente sportivo all’inizio. Giocava a calcio, a pallavolo, a ping pong. Ma tutto è cambiato a sette anni, quando i suoi genitori gli hanno regalato una racchetta da tennis per Natale. Non era una racchetta da professionista: era una da bambini, leggera, con un manico troppo sottile. Ma per Roger, era il primo strumento per entrare in un mondo nuovo.

Non era un genio improvviso. All’inizio, sbagliava i colpi, non riusciva a tenere la palla in campo, e spesso si arrabbiava. Ma c’era qualcosa in lui che non si arrendeva. Mentre gli altri bambini si stancavano dopo mezz’ora, lui rimaneva in campo per ore, a colpire palle contro il muro del club, da solo, senza nessuno che lo guardasse.

Il primo allenatore: un ex giocatore di seconda divisione

Il primo vero allenatore di Federer si chiamava Charles Bietti. Non era un nome famoso. Non aveva vinto tornei internazionali. Era un ex giocatore della seconda divisione svizzera, che allenava i bambini nel Tennis Club Basel per qualche franchi all’ora. Ma aveva un occhio per i dettagli. Notò subito che Roger aveva una coordinazione straordinaria, un’abilità naturale di leggere il gioco prima che accadesse.

Bietti non lo ha trasformato in un campione in un anno. Gli ha insegnato la base: come tenere la racchetta, come muoversi sui piedi, come non forzare i colpi. Gli ha fatto capire che il tennis non è potenza, ma precisione. Federer ricorda ancora quelle lezioni: «Avevo paura di sbagliare. Lui mi diceva: “Non importa se la palla va fuori. Importa che tu impari da ogni errore.”»

Il primo torneo: una sconfitta che ha cambiato tutto

A otto anni, Federer ha partecipato al suo primo torneo locale. Non era nemmeno tra i favoriti. Si è presentato con la racchetta di Natale, i calzoncini troppo lunghi e le scarpe da ginnastica. Ha perso al primo turno. Ma non ha pianto. Ha guardato gli altri giocatori, ha studiato i loro movimenti, ha notato come tenevano la racchetta, come colpivano la palla da fondo campo.

Quella sconfitta lo ha segnato. Non per la delusione, ma perché ha capito che il tennis non era solo un gioco. Era una battaglia mentale. Dovevi essere più intelligente del tuo avversario. Dovevi essere più paziente. Dovevi imparare a vincere senza gridare, senza arrabbiarti. Quella lezione, più di qualsiasi tecnica, lo ha reso quello che sarebbe diventato.

Un ragazzino di otto anni seduto da solo dopo una sconfitta, con un trofeo di plastica e un nastro VHS di Edberg ai suoi piedi.

La svolta: quando ha smesso di giocare a calcio

A undici anni, Federer era ancora un giocatore di calcio serio. Giocava nella squadra giovanile del FC Basel. Ma il tennis lo chiamava sempre più forte. Una volta, durante un allenamento di calcio, ha perso una palla perché stava pensando a un dritto a due mani che aveva provato la sera prima. Il suo allenatore gli ha detto: «Se vuoi essere bravo in una cosa, devi scegliere. Non puoi essere il migliore in due.»

Quella frase lo ha colpito. Ha parlato con i suoi genitori. Hanno discusso per giorni. Alla fine, ha scelto il tennis. Non perché era più facile, ma perché lo faceva sentire vivo. Ogni palla che colpiva, ogni punto vinto, ogni errore corretto, gli dava un senso di controllo che il calcio non gli dava più.

Il primo vero campione: un modello invisibile

Non è stato Nadal, non è stato Djokovic, non è stato Sampras. Il primo campione che Federer ha studiato da vicino era un giocatore quasi sconosciuto: Stefan Edberg. Non era il più forte, ma era il più elegante. Aveva un servizio a effetto, un volo preciso, un movimento fluido come un danzatore. Federer guardava i suoi match in VHS, li ripeteva centinaia di volte, cercava di imitare ogni movimento. Non voleva copiare. Voleva capire.

Edberg non aveva il dritto più potente, ma sapeva dove mettere la palla. Non aveva il rovescio più veloce, ma sapeva quando aspettare. Federer ha imparato da lui che il tennis non si vince con la forza, ma con la mente. Quella lezione l’ha portata con sé per tutta la carriera.

Un tredicenne che si allena sotto la pioggia, colpendo palle contro un muro bagnato, con una racchetta logora e scarpe consumate.

Il primo trofeo: un premio che non valeva niente, ma cambiava tutto

A tredici anni, Federer ha vinto il suo primo torneo importante: il Campionato Svizzero Under-14. Il premio? Una coppa di plastica, un maglione del club e 50 franchi svizzeri. Nessun giornale ne ha parlato. Nessun agente lo ha cercato. Ma per lui, era la prima prova che poteva vincere. Non era il più forte del mondo. Ma era il più forte di quel campo, in quel momento.

Quella vittoria non lo ha reso famoso. Ma lo ha reso sicuro. Ha capito che se lavorava sodo, se studiava, se non si arrendeva, poteva arrivare lontano. Non sapeva ancora che sarebbe diventato il numero uno al mondo. Ma sapeva che non avrebbe mai smesso di giocare.

La lezione più grande: non era il talento, era la costanza

Quante volte hai sentito dire che Federer era un genio? Che aveva un dono naturale? È vero. Ma non è stato il dono a farlo diventare leggenda. È stato il fatto che, a 17 anni, quando gli altri ragazzi si erano stancati, lui era ancora in campo alle 7 del mattino, a colpire palle contro il muro. Era quello che si allenava quando pioveva. Era quello che studiava i match degli avversari mentre gli altri guardavano i cartoni animati.

Non aveva un coach famoso, non aveva un team di 15 persone, non aveva sponsor che gli pagavano le vacanze. Aveva solo un obiettivo: migliorare di un 1% ogni giorno. E lo ha fatto per vent’anni. Non è stato il talento a farlo vincere. È stata la sua testa. La sua pazienza. La sua umiltà.

Da Basilea al mondo: un percorso che nessuno ha previsto

Nel 1998, a 17 anni, Federer ha lasciato la Svizzera per un programma di tennis a Losanna. Non era un prodigio. Non era il favorito. Era un ragazzo con una racchetta, un zaino e un sogno che nessuno prendeva sul serio. Ma ha lavorato. Ha studiato. Ha imparato. Ha perso. Ha vinto. Ha sbagliato. Ha corretto.

Quando ha vinto il suo primo titolo ATP nel 2001 a Gstaad, nessuno lo ha ricordato. Ma lui sapeva: quel titolo non era il fine. Era solo l’inizio di una strada che nessuno aveva mai percorso prima. E lui l’ha fatta camminare, passo dopo passo, palla dopo palla, giorno dopo giorno.

Non è nato campione. È diventato campione. Perché ha scelto il tennis. Perché ha scelto di non arrendersi. Perché ha imparato che il grande non si costruisce con un colpo. Ma con mille piccoli colpi, ripetuti per anni.

Roger Federer ha avuto un allenatore famoso fin dall’inizio?

No. I suoi primi allenatori erano persone comuni: Charles Bietti, un ex giocatore di seconda divisione, e poi Peter Carter, un coach australiano che lo ha seguito durante l’adolescenza. Non ha mai avuto un allenatore di fama mondiale finché non è diventato professionista. La sua crescita è stata costruita su piccole lezioni, osservazione e ripetizione, non su nomi celebri.

Perché Federer ha smesso di giocare a calcio?

Perché ha capito che non poteva essere il migliore in due sport. A undici anni, il suo allenatore di calcio gli ha detto che doveva scegliere. Federer ha visto che il tennis lo faceva sentire più vivo, più concentrato, più padrone di sé. Ha scelto il tennis non perché era più facile, ma perché lo amava di più e voleva darci tutto.

Quale fu il primo torneo che vinse Federer?

Il suo primo torneo importante fu il Campionato Svizzero Under-14, vinto a tredici anni. Il premio era simbolico: una coppa di plastica e 50 franchi. Ma per lui fu fondamentale: fu la prima prova che il suo impegno poteva portare a un risultato concreto.

Chi fu il suo primo modello nel tennis?

Il suo primo modello fu Stefan Edberg. Federer guardava i suoi match in VHS, studiava la sua eleganza, la sua precisione, il modo in cui controllava il ritmo. Non voleva copiarlo, ma capire come si costruisce un gioco intelligente. Edberg gli insegnò che il tennis si vince con la testa, non solo con le braccia.

Roger Federer era un bambino timido?

Sì, lo era. Da bambino era molto riservato, non parlava molto in pubblico, preferiva osservare. Questo lo ha aiutato nel tennis: imparava guardando. Non aveva bisogno di urlare o di mostrare emozioni. La sua forza era la calma. E quella calma, col tempo, è diventata la sua firma.