Killers of the Flower Moon: Scorsese Reinventa il Cinema Storico con De Niro da Oscar

Killers of the Flower Moon: Scorsese Reinventa il Cinema Storico con De Niro da Oscar apr, 30 2025 -0 Commenti

Scorsese Sfida Sé Stesso: Killers of the Flower Moon e la Rinascita del Cinema d’Epoca

Bastano pochi minuti di Killers of the Flower Moon per capire che non siamo davanti all’ennesima riproposizione dello stile tipico di Martin Scorsese. Il regista, ultraottantenne, dimostra ancora una volta di non volersi adagiare sugli allori. Quello che colpisce subito è l’autenticità con cui viene ritratta l’America degli anni ’20: dalla polvere delle strade rurali dell’Oklahoma fino ai dettagli minuziosi delle armi e dei rumori che scandiscono la tensione. Nessuna glorificazione, nessuna edulcorazione: tutto risulta sporco, aspro, tragicamente reale.

Il film, lungo tre ore, mette alla prova l’attenzione dello spettatore, ma non per mancanza di ritmo. A farla da padrone è una narrazione immersiva, dove ogni scena aggiunge un tassello a una storia vergognosamente dimenticata dalla cronaca. La regia di Scorsese sa dosare pause e accelerazioni, mettendo in scena il vero volto del colonialismo interno americano. Curiosa la scelta di affidarsi a dettagli sonori d’epoca: lo scoppio delle pistole, più secco e meno spettacolare rispetto agli action moderni, diventa quasi un marchio di fabbrica. Anche i silenzi hanno un ruolo cruciale, interrompendo la tensione solo per sottolineare la fragilità delle vite in gioco.

Un De Niro Inedito e la Freschezza di un Maestro

Un De Niro Inedito e la Freschezza di un Maestro

A illuminare la pellicola, senza ombra di dubbio, è Robert De Niro. Molti spettatori si erano ormai rassegnati a un De Niro stanco, quasi ingabbiato nel cliché del mafioso burbero. Qui invece l’attore sorprende per carisma ambiguo e sfumature che gli mancavano da decenni: ogni sguardo, ogni accenno di sorriso, ha il peso di una minaccia latente. Per chi pensava che il meglio fosse già alle spalle, è una smentita bruciante. Sembra che Scorsese abbia risvegliato in lui qualcosa di dimenticato, restituendogli la voglia di osare.

L’altro aspetto sorprendente è il modo in cui Scorsese guarda alla regia dei registi più giovani. Non è un caso che si percepiscano richiami allo stile visionario di Ari Aster, giovane talento che ha saputo reinventare regole visive e sospensione dell’incredulità. Scorsese, pur rimanendo fedele a se stesso, lascia spazio a movimenti di macchina più audaci, immagini volutamente disturbanti e scelte di montaggio che ricordano il cinema horror contemporaneo. Una vera lezione di umiltà e aggiornamento, soprattutto per i registi che siedono su una carriera già fatta.

Il paragone con The Irishman è inevitabile. Alcuni spettatori, infatti, dichiarano di aver preferito la malinconia e lo sguardo più introspettivo del film precedente. Ma qui il tema cambia: c’è meno decadenza e più rabbia, meno nostalgia e più denuncia sociale. Forse non tutti ameranno questa svolta ma è innegabile che Killers of the Flower Moon spinga Scorsese in territori inesplorati, proponendo un cinema che guarda al passato solo per interrogare il presente.

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