Mettiamoci comodi: il punteggio nel tennis fa impazzire tutti, dagli spettatori della domenica ai giocatori più esperti. Guardi una partita e tra "15", "30", "40", poi spunta "A" e la mente va in tilt. Non si vede mai uno "1, 2, 3" lineare come in ogni altro sport. Anche nel 2025, fra statistiche e racchette hi-tech, il tennis resta aggrappato a questo sistema che sembra più un codice segreto che altro. Perché? Cosa c’entra il numero 15, e perché si finisce dritti a 40 invece che a 45? E perché la partita la vince chi ha una lettera vicino al nome?
Provando a svelare il mistero dei numeri del tennis, si inciampa subito nella storia europea tra Medioevo e Rinascimento. Secondo le ricerche più credibili, il punteggio bizzarro nasce in Francia, dove questo sport veniva chiamato "jeu de paume". Pare che il sistema a "15" derivi dagli orologi pubblici con numeri fissi: quando si faceva punto si spostava la lancetta di un quarto d’ora. Un punto, 15; due, 30; tre, 45 (che poi diventò 40, per motivi di velocità nel conteggio e meno confusione orale). Esiste anche una versione alternativa: qualcuno dice che 60 fosse il punteggio pieno di un game, diviso in quarti, ma il numero 45 era faticoso da pronunciare velocemente agli angoli del campo, quindi si scelse 40.
Un dettaglio spesso dimenticato è che queste regole non vennero stabilite a tavolino in qualche riunione moderna, ma nel caos delle prime partite fra nobili e aristocratici francesi. Si dice che, nel XVI secolo, i tennisti pronunciassero “quarante-cinq”, col tempo accorciato in “quarante”. Aneddoti storici veri e proprio, citati in diversi testi storici come “Tennis: A Cultural History” di Heiner Gillmeister. I britannici non hanno poi fatto altro che innamorarsene e trasformare le usanze francesi in standard internazionale.
Ancora oggi, se entri nei circoli storici parigini, qualcuno ti racconterà questa leggenda con occhi brillanti. Anche chi commenta le partite in TV, spesso deve interrompersi per spiegare ai nuovi spettatori perché non si parte da zero… mai. E pensare che il tennis, oggi sport globale, nasce proprio con questa scelta di numeri che non ha nessun parallelo né nel calcio né nel basket.
Mai sentito parlare di "love" per indicare lo zero? Qui siamo ancora nello slang francese: "l’oeuf" vuol dire uovo, e l’uovo assomiglia allo zero. Da "l’oeuf" a "love", il passo è stato corto per il pubblico inglese. E quella zero così rotonda e strana è rimasta lì.
Oltre ai numeri, il tennis nasconde altre stranezze: le lettere. Quelle famose "A" della tabellina del punteggio ti fanno pensare ad una pagella piuttosto che a uno sport. Quando si arriva a 40-40, la partita si ferma sulla "parità" (in inglese deuce). Da lì parte una mini-battaglia: chi fa il punto successivo va in "vantaggio" (ecco la "A", abbreviazione di "Advantage"). Se chi sta in vantaggio fa un altro punto, si chiude il game; altrimenti si torna in parità e il ballo ricomincia.
La magia del sistema tennis è tutta qui: ogni game, anche il più semplice, può trasformarsi in un piccolo dramma psicologico. Nel 2010, John Isner e Nicolas Mahut hanno battuto tutti i record con una maratona a Wimbledon di 11 ore e 5 minuti, con game finiti decine di volte ai vantaggi: una partita surreale, ma perfetta per capire quanto il sistema del vantaggio e della parità influenzi lo spettacolo.
Le lettere servono anche per non creare equivoci: l’“A” indica distintamente chi ha il punto decisivo in mano, aiutando arbitro, raccattapalle e pubblico a non perdersi nei cambi di equilibrio continui. Attenzione però, nei sistemi elettronici più moderni e su certi tabelloni, a volte si usano le sigle “AD” o “ADV” (sempre per Advantage) invece della semplice "A", specie nei tornei americani. Ma il senso resta identico.
Piccolo consiglio per chi vuole capirci davvero qualcosa la prima volta che guarda una partita: se vedi la "A" accesa accanto al nome, quello è il giocatore che può chiudere il gioco. Quindi emozioni pronte a volare, anche se ti sembra tutto un po’ troppo scolastico.
C’è chi pensa che il punteggio strano sia noioso, ma in realtà sono questi dettagli a rendere il tennis una vera droga per chi lo gioca o lo segue. Curiosità: la più lunga serie di punti consecutivi salvati in parità? Ben 21, sempre nella già citata sfida Isner/Mahut. E poi non mancano le partite con game da venti minuti, in cui nessuno riesce ad allungare decisivamente proprio per il meccanismo vantaggio-parità.
A Wimbledon, ogni anno, la BBC fa brevi “lezioni di punteggi” in tv per aiutare chi si avvicina solo per la finale. In Australia, sui tabelloni luminosi degli stadi principali, la parità si indica spesso solo con una scritta “DEUCE”, tutta in maiuscolo, per togliere dubbi.
Ti vuoi allenare per ricordare il punteggio? Il trucco è uno: ripetilo ad alta voce come fanno i raccattapalle o i maestri di tennis con i bimbi. Partenza da “love all” (zero pari), poi “15-love”, “30-15”, “40-30” e così via. I bambini imparano il sistema come una filastrocca, e dopo un paio di lezioni diventa tutto naturale. Ti consiglierei anche di stampare una tabella e segnarti i risultati mentre guardi una partita; in poche partite diventa facile come ricordarsi le tabelline.
Se giochi spesso, ti potresti trovare invece a discutere su regole strane tipo “no-ad”, in cui si toglie la regola del vantaggio e chi fa punto sul deuce vince subito il game. Questa regola taglia i tempi di gioco, ma i puristi—specie nelle grandi gare—preferiscono la battaglia infinita classica.
Ecco un dato simpatico: secondo l’ITF, la media dei game a livello professionistico si chiude senza bisogno di passare troppe volte da deuce a vantaggio, ma nei tornei giovanili succede spesso che si superino anche le 5 parità nello stesso game. E lì il sistema sembra davvero nato apposta per sfinirli… o per farci divertire!
Termine | Significato | Curiosità |
---|---|---|
Love | Zero punti | Deriva dal francese "l’oeuf" (uovo) |
15, 30, 40 | Punteggio nel game | Ispirato all'orologio, poi semplificato |
Deuce | Parità a 40-40 | Termine inglese dal francese "à deux" |
Advantage / "A" | Vantaggio dopo deuce | Spesso indicato anche "AD" o "ADV" |
Nonostante la tecnologia abbia rivoluzionato il tennis, dai droni agli occhiali con Statcast alle app che monitorano i colpi in tempo reale, il punteggio resta fedele alle origini. Alcuni tornei minori e giovanili hanno provato a introdurre sistemi più semplici—un punto per ogni colpo vinto, massimo 4 per game—ma nessun circuito professionistico ha davvero rivoluzionato le basi.
Le ATP Next Gen Finals, dal 2017, hanno pensato a set corti e regole “no advantage” per accorciare i tempi e rendere tutto più spettacolare agli occhi dei giovanissimi e delle tv. Ma agli US Open, a Wimbledon o agli Australian Open trovi ancora il tabellone con 15, 30, 40 e la mitologica A. Sembra quasi una sfida culturale: i grandi slam sono tempio della tradizione, e la stranezza dei punteggi diventa un marchio di fabbrica.
Si parla spesso di rendere il tennis più comprensibile a chi arriva da fuori. Alcuni eventi locali in Asia e USA hanno chiesto feedback direttamente ai tifosi, e la maggioranza—specialmente tra chi gioca o segue da tempo—risponde che "questa strana matematica è perfetta così". Sa di antico, di aristocrazia mista a passione pop, e distingue ancora il tennis dagli altri sport di massa.
La realtà è che la logica del punteggio crea un pathos unico: ogni punto dopo il 40 può regalare emozioni epiche. Basta pensare ai match point salvati in sequenza da Djokovic nel 2019 nella finale di Wimbledon, o alla finale femminile di Parigi 2024 dove Aryna Sabalenka ha annullato cinque match point di fila tra parità e vantaggio. Ti rendi conto che senza quel sistema a lettere e numeri il tennis forse perderebbe parte della sua anima leggendaria.
Per chi oggi inizia a giocare, imparare il punteggio punteggi tennis è quasi un rito di passaggio: si diventa subito parte di una cultura fatta di colpi, sospiri e cifre bizzarre. E anche se la tecnologia avanza, nulla fa pensare che il 15, 30, 40, la A e quel “love” rotondo spariranno presto dai campi. Se domani ti siederai in tribuna, smartphone alla mano, non stupirti se sentirai ancora chiamare “quindici pari”: appartieni a una tradizione unica, che mescola sport, cultura e un pizzico di follia.
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