Hai mai sentito qualcuno, magari in TV o sugli spalti, confondere "seed" e "rank" pensando che siano la stessa cosa? Capita spesso. Persino tra persone che seguono il tennis da una vita, c’è confusione quando si parla di classifiche e teste di serie nei tornei. D’altronde, chi di noi non si è mai chiesto come sia possibile vedere un giocatore con un ranking più basso essere comunque testa di serie alta in un torneo, o viceversa? Proprio qui nasce la curiosità che porta a distinguere tra questi due concetti. Io, per esempio, ogni estate insegno a Ludovico, mio figlio, la differenza, scoprendo che non è così immediata come potrebbe sembrare a prima vista. Vediamo a cosa servono, da dove vengono e come influenzano ogni partita dei professionisti.
"Seed", cioè testa di serie, ha tutto a che fare con la struttura dei tornei. Non indica una posizione fissa o un valore assoluto. I "seeds" sono letteralmente i giocatori che vengono "piantati" nel tabellone in modo strategico. Il termine inglese "seed" viene dal giardinaggio: piantare i semi a distanza regolare per farli crescere bene. Lo stesso vale per il tennis: le teste di serie sono piazzate in modo che i giocatori più forti non si affrontino subito, ma solo nelle fasi avanzate.
Solitamente sono 8, 16 o 32 le teste di serie a seconda della grandezza del torneo. Ad esempio, nei tornei dello Slam (Australian Open, Roland Garros, Wimbledon, US Open), le teste di serie sono 32. Il motivo? Evitare che un numero 1 mondiale incontri già al primo turno il numero 2 o il numero 5. Così facendo, gli organizzatori tutelano lo spettacolo, i bilanci, il pubblico e anche gli stessi giocatori più forti, allungando la presenza delle star. In pratica, essere testa di serie significa partire con una specie di "paracadute" nei turni iniziali. Ma attenzione: seed tennis non significa che il giocatore è il numero uno al mondo in senso assoluto. Può capitare che il ranking mondiale non coincida con il seed assegnato, per ragioni di regolamento speciale (Wimbledon, per esempio, usa algoritmi suoi che danno peso ai risultati su erba).
Un esempio: Wimbledon, unico Slam a non seguire rigidamente il ranking ATP, ha spesso visto Roger Federer testa di serie numero 1 anche se il ranking ufficiale lo dava come numero 2 o 3. Questo perché il torneo premia la "storia" su erba e le performance precedenti. Idem anche agli US Open o a Melbourne, dove sono rarissimi i casi di divergenza ma esistono. Un altro caso pratico: nel 2017, Marin Cilic fu testa di serie numero 7 nonostante fosse quattordicesimo nel ranking. Tutto questo manda spesso in confusione i tifosi casual.
Quindi quale la regola vera?
Se pensi che sia un concetto solo da professionisti, ricrediti: la seed esiste anche nei tornei Under-14 dei club di periferia, dove magari sei il seed 1 pur avendo meno punti rispetto a un ragazzino rientrato da un infortunio che non ha ancora recuperato la sua vecchia posizione.
E una chicca: la seed non garantisce mai la vittoria. Nel 2021, Emma Raducanu ha vinto gli US Open partendo addirittura dalle qualificazioni, senza seed, ribaltando ogni previsione. Il bello del tennis è proprio questo: puoi seminare tutto quello che vuoi, ma poi chi vince è solo chi ci arriva meglio in quel momento.
Il "rank" (o meglio "ranking") invece è la classifica generale mondiale. Non dipende dal singolo torneo, ma tiene traccia di TUTTI i risultati ufficiali del singolo giocatore, nell’arco di 52 settimane, usando un sistema di punti precisissimo. Ogni torneo assegna un certo numero di punti, più si arriva avanti, più punti si portano a casa. Più il torneo è importante, più sono i punti in palio.
La classifica ATP (per gli uomini) e la classifica WTA (per le donne) cambia praticamente ogni settimana. È una delle classifiche più "liquide" e dinamiche del mondo sportivo. Per esempio, se oggi 19 luglio 2025 Novak Djokovic è ancora tra i primi dieci, è perché ha raccolto punti nei tornei principali dell’anno (Slam, Masters 1000, ATP 500 e via dicendo). Se invece uno come Matteo Berrettini dovesse infortunarsi e non giocare per mesi, i suoi vecchi punti andrebbero a scalare e perderebbe posizioni anche se nessuno lo batte direttamente.
I punti ottenuti in ogni torneo sostituiscono o sommano ai punti dello stesso torneo dell’anno precedente. Questa è la "regola rolling": ogni settimana, vengono a scadenza i punti guadagnati esattamente 12 mesi prima. Faccio un esempio concreto che capita spesso: vinci il torneo di Bastad nel 2024, prendi 250 punti. Se l’anno dopo non difendi quel titolo (cioè non vinci di nuovo), perdi quei 250 punti, anche se magari arrivi in semifinale (pigli solo 90 punti, per dire). È per questo che spesso vedi dei veri e propri crolli improvvisi o salite nelle posizioni della classifica ATP: c’è chi si supera e chi non replica l’anno prima.
Guarda questa tabella, che ho preparato per far capire la distribuzione punti nei tornei più importanti:
Torneo | Vittoria | Finale | Semi | Quarti | Primo turno |
---|---|---|---|---|---|
Grande Slam | 2000 | 1200 | 720 | 360 | 10 |
Masters 1000 | 1000 | 600 | 360 | 180 | 10 |
ATP 500 | 500 | 300 | 180 | 90 | 10 |
ATP 250 | 250 | 150 | 90 | 45 | 10 |
Il ranking è tutto. Non solo dice chi è il più forte in un dato momento ma decide l’accesso diretto ai big match, le qualificazioni, persino i bonus annuali e inviti agli eventi esclusivi. “Nel tennis, la classifica è l’unico passaporto vero per gareggiare nei tornei che contano”, ha dichiarato Rafael Nadal in un’intervista a Marca, celebre rivista sportiva spagnola.
"Nel tennis, la classifica è l’unico passaporto vero per gareggiare nei tornei che contano" – Rafael Nadal a Marca
Ogni tanto, qualche polemica scoppia: per anni gli azzurri si sono lamentati perché, secondo molti, il sistema dei punti penalizzava chi giocava tanti tornei minori invece di puntare ai grandi Slam, per via della regola che limita a 18 i tornei da conteggiare per ogni atleta ATP.
Un’altra curiosità: la classifica non viene azzerata mai. Neanche in caso di pandemia. Nel 2020, durante il Covid, ATP e WTA hanno "congelato" i punti, creando la famosa "frozen ranking" che ha reso quasi impossibile scalare o perdere posti per più di un anno. Un caso più unico che raro, e che ha mandato tilt appassionati e bookmaker.
Insomma, il ranking è la pagella ufficiale. Non vuol dire però che sei il migliore in ASSOLUTO ogni settimana: ci sono stati momenti in cui il numero uno perdeva al primo turno, mentre un outsider azzeccava il mese della vita.
A questo punto, la domanda sorge spontanea: che impatto reale hanno seed e rank nelle partite? Qua le cose si fanno interessanti. Tanto per cominciare, le teste di serie danno (almeno in teoria) un percorso più facile nei primi turni. Nessun numero uno vuole rischiare di beccare subito un avversario fortissimo. Ma il tennis, lo sappiamo tutti, è pieno di sorprese. Chi segue anche solo la seconda settimana di Wimbledon a volte assiste a sconfitte clamorose di seed altissimi contro "qualificati".
Vuoi un esempio che ha fatto storia? Al Roland Garros 2009, Robin Soderling, non testa di serie, sconfisse Rafa Nadal, che aveva vinto il torneo per quattro anni consecutivi. O ancora meglio: Wimbledon 2013 vede uscire fuoristrada Federer, Nadal e Sharapova tutti prima dei quarti, nonostante fossero le prime tre teste di serie.
Facciamo un passo indietro: come vengono scelti i seed? Prendono i ranking ufficiali della settimana prima dall’inizio del torneo, quindi può succedere che un giocatore in forma ma con ranking basso (magari appena tornato da un lungo stop) si trovi ancora fuori dalle teste di serie, diventando un avversario "pericoloso" per tutti.
Tra l’altro, per chi punta tutto sulle scommesse sportive, c’è un mercato incredibile legato ai seed: le quote variano in base alla posizione nella griglia. Se un outsider pesca un seed 1 o 2 al primo turno, la sua quota vittoria schizza alle stelle. Pinterest è pieno di infografiche che spiegano come studiare le sorprese buttando occhio proprio ai seed "deboli" o fuori condizione.
C’è un’altra faccia della medaglia: chi ha un ranking alto gioca spesso quasi tutti i tornei "importanti" automaticamente (Slam, Masters 1000), senza fare qualificazioni. E può accumulare più punti semplicemente entrando sempre nei tabelloni principali. Chi invece è fuori dalla top 100, per esempio, è costretto a guadagnarsi ogni goccia di sudore partendo dai challenger, guadagnando pochi punti alla volta.
Ma dove si incontrano davvero seed e rank? Nelle conferenze post-match dove persino i giornalisti sbagliano, parlando di “testa di serie” anche quando il giocatore, invece, è solo “ranked” ma senza seed. Ne ho sentito dire di ogni: “Djokovic è seed 1 nel mondo” (che è una frase senza senso perché il seed vale solo nel singolo torneo). Oppure “Quanti seed hai davanti nel ranking?” Anche questa è una domanda che fa so ben ridere i coach più esperti.
Un dato curioso: nella storia degli Slam, solo due volte è successo che una finale sia stata totalmente priva di teste di serie (caso epico fu la finale femminile agli Australian Open 2017 tra Serena Williams e Venus Williams, entrambe appena rientrate dopo pause lunghe). Più spesso, invece, si assiste a vittorie di un seed basso ma con ranking più favorevole, segno che la forma vale più dei numeri.
Se vuoi smettere di confondere i due termini tra amici, e magari sembrare uno che padroneggia davvero la materia, ci sono alcuni trucchi semplici:
Un consiglio se giochi a fantasy tennis tra amici: pesca sempre almeno un seed basso con ranking in crescita, il colpaccio può valere oro.
Chiudiamo con una curiosità spiccia che racconto sempre a Ludovico. All’inizio degli anni ’80 Boris Becker, allora appena 17enne, vinse Wimbledon senza essere seed. Oggi sarebbe quasi impossibile, ma la sua impresa resta il simbolo che la differenza tra seed e rank esiste, sì, ma solo sulla carta. La vera differenza la fa il campo.
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