Una Pecora Nera tra i Grandi Slam?
Tra i tifosi di tennis, c’è sempre stata una certa ironia sull’Australian Open. "È il cugino lontano dei Grandi Slam", mi ha detto tempo fa mio cugino Fabrizio davanti a una pizza, come se nominare Melbourne mettesse in dubbio tutto lo status del torneo. Non è solo una questione di geografia, anche se per noi europei l’Australia sembra l’altro capo del mondo. Ma l’Australian Open, a differenza di Roland Garros, Wimbledon o US Open, viene spesso guardato con un filo di sospetto quando si parla di prestigio.
Partiamo dalle origini. Il torneo nasce nel 1905 ma per decenni si è svolto in modo quasi artigianale, con pochi partecipanti internazionali: arrivarci era un’impresa anche per i migliori. Si giocava sull’erba, in club poco affollati, e nel 1922 ci furono solo cinque stranieri iscritti. Fino agli anni ‘80, molti big lo saltavano senza pensarci due volte: Connors e Borg, per dire, l’hanno praticamente ignorato. Quasi tutti i record storici dei Grandi Slam parlano di vittorie a Parigi o Wimbledon, rari sono i vecchi campioni con trionfi australiani.
Non è solo nostalgia del passato. I numeri parlano chiaro: tra il 1976 e il 1982, solo un membro della top10 maschile ha vinto il torneo. Spesso sembrava la Coppa dei canguri, con assenze di lusso, tabelloni strani, e storie semi-dimenticate dai cronisti. E lo diciamo noi, appassionati che ci svegliamo alle tre di mattina per vedere Nadal e Djokovic sudare nel caldo torrido.
Altri Grandi Slam vivono di tradizione: Wimbledon è il tempio dell’erba e della rigidità britannica, Parigi la casa della terra battuta elegante, New York il centro dello show. Melbourne, invece, è stata a lungo il torneo della fatica, del caldo impossibile e delle rughe bruciate dal sole: nel 2014 la temperatura sul campo ha superato i 44°C! Perfino i raccattapalle a volte sono svenuti, tanto che si è parlato di spostare il torneo più avanti nel calendario o addirittura al chiuso.
Ma adesso le cose sono cambiate: dagli anni ‘90, i migliori vanno quasi sempre, la superficie dura ha livellato le possibilità, e la copertura mediatica mondiale ha riempito le gradinate virtuali. Djokovic ha vinto dieci volte, Federer e Serena Williams sono diventati icone anche qui, e la finale viene vista in diretta in oltre 200 paesi. Ciononostante, la fama di parente povero dei Grandi Slam non è del tutto sparita, e le battute online lo piazzano spesso “quarto” per fascino e peso storico.
Esistono parecchie tabelle e grafici ufficiali che lo dimostrano:
Grande Slam | Edizioni saltate dai Top 10 (dal 1970 al 1990) | Copertura TV (Paesi) | Premio attuale (2025, singolare uomini donne) |
---|---|---|---|
Australian Open | 46% | 200+ | 2.480.000€ |
Roland Garros | 15% | 220+ | 2.300.000€ |
Wimbledon | 12% | 205+ | 2.750.000€ |
US Open | 10% | 210+ | 2.800.000€ |
I dati parlano chiaro: fino a trent’anni fa l’Australian Open attirava meno top player dei rivali. Oggi paga poco meno ma è allineato. La copertura TV ormai è planetaria. Ma quanto conta la tradizione rispetto al prestigio? E il peso delle vittorie? È qui che la storia si fa interessante.
Va detto: il prestigio non si costruisce in pochi decenni. Wimbledon, con il suo bianco impeccabile, vanta quasi centocinquanta anni di storia. Parigi affascina con la terra rossa dove Nadal è diventato leggenda vivente (pare che Lucio, mio figlio, si sia addormentato più volte durante le sue maratone parigine). L’US Open è la mecca americana: urla, cibo a tutte le ore, luci accese fino a notte fonda. Ognuno ha qualcosa che lo rende unico e immortale nella memoria collettiva.
Melbourne invece fa più fatica a scrollarsi di dosso la fama da torneo "secondario". Le leggende australiane come Rod Laver e Margaret Court hanno reso il torneo importante, ma per un bel pezzo i campioni europei e americani lo hanno snobbato. Le vittorie nei quattro Slam contano sì per il Grande Slam, ma spesso chi domina "down under" viene ricordato meno, come Mats Wilander o Petr Korda, che tra il 1982 e il 2000 hanno scritto pagine poco celebrate. Alcuni tennis club italiani ancora oggi organizzano più facilmente tornei "Roland Garros" che "Australia" per i loro soci!
Interessante come i cambiamenti abbiano rivoluzionato la percezione. Dal 1988, con il passaggio al cemento, si è voltato pagina: meno sorprese, più omologazione, ma anche più presenze di big. Federer e Djokovic si sono punti a vicenda qui, Nadal ha finalmente centrato il successo che gli mancava da una vita, i giovani si sono fatti largo sfruttando la superficie moderna che assomiglia ai campi di allenamento ovunque. A livello femminile, l’exploit di Serena Williams e la comparsa di Naomi Osaka hanno dato slancio al torneo, con storie forti che hanno fatto il giro del mondo. Si è arrivati a un livello altissimo di competizione, anche se rimane quel pizzico di “stigma” storico che solo il tempo potrà cancellare del tutto.
Chi crede che il torneo non valga tanto quanto gli altri usa spesso due argomenti: il timing (gennaio, quindi preparazione imperfetta dopo le feste di Natale) e la distanza (faticoso viaggiare in Australia per chi viene dall’Europa o dal Nord America). Tuttavia, oggi la maggioranza dei tennisti partecipa regolarmente e con grandi aspettative, e alcuni — vedi Djokovic — sembrano avere addirittura un feeling particolare con le condizioni australiane. Curioso poi che, per molti, vincere in Australia significhi iniziare la stagione in modo “storico” e prendere subito slancio psicologico, come successo di recente a Jannik Sinner, che nel 2024 è diventato il secondo italiano a vincere un Major dopo Panatta.
Un altro dato che viene spesso dimenticato: Melbourne è uno dei primi tornei ad aver sperimentato tecnologie innovative — dal tetto mobile al tie-break definitivo al quinto set, dal super challenge elettronico Hawk-Eye fino all'aria condizionata in campo centrale per evitare disastri climatici. In più, la città accoglie una delle tifoserie più calde e internazionali. Non è raro trovare italiani che si svegliano per cucinare i cappelletti davanti alle semifinali di Sonego o Berrettini: segno che il fascino non manca, semplicemente sta cambiando pelle.
E vogliamo parlare del supporto locale? I "fanatics" australiani sono leggendari. Il torneo coinvolge tutta la città come una sorta di carnevale sportivo, con concerti, feste, eventi per bambini nel parco e cibo da tutto il mondo distribuito agli appassionati. Non sarà il tè delle cinque di Wimbledon, ma di certo è un’esperienza che chiunque ama lo sport dovrebbe vivere.
Quando ci si chiede se l’Australian Open sia il meno prestigioso dei grandi slam, ci si muove tra miti e realtà. Di certo per i tennisti odierni vale tanto quanto gli altri: nei punti ATP, nei montepremi, nelle chance di scrivere la storia. Djokovic e Serena Williams non avrebbero mai costruito i loro record senza questa tappa fondamentale. Per i giovani, Melbourne è il primo step per sognare una carriera leggendaria.
Ma nella memoria collettiva il torneo ha ancora qualche distanza da colmare. Un po’ per quei decenni di snobismo, un po’ perché i media internazionali ne hanno sempre parlato meno in passato, magari accorpando notizie e risultati, concentrando le attenzioni su Parigi, Londra e New York. Anche oggi, tanti magazine europei dedicano meno speciali all’Australian Open rispetto al periodo di giugno-luglio, quando si vive una specie di overdose tra Roland Garros e Wimbledon.
C’è però un cambiamento forte negli ultimi vent’anni: la memoria breve dei social, la viralità delle gesta e i video delle imprese hanno reso celebri molte finali australiane che prima sarebbero rimaste quasi riservate agli addetti ai lavori. L’epica rimonta di Nadal contro Medvedev nel 2022 ad esempio, tra Instagram e YouTube, ha fatto il giro del mondo in poche ore, così come le imprese di Osaka, la giovane stella giapponese idolatrata in tutto il Pacifico dopo le sue vittorie a Melbourne.
Se parliamo di marketing puro, il torneo è diventato un business pazzesco: i campi color blu, la presenza di sponsor innovativi, la fan zone più grande di tutti i Grandi Slam, con decine di brand tra cui persino quelli italiani (ci sono ATM che danno sconti per acquistare lasagne e cannoli: qui si mangia bene anche in Australia, fidatevi). Dal 2020 i numeri degli spettatori sono cresciuti ogni anno, salvo la parentesi Covid.
Vale la pena ricordare qualche curiosità concreta da raccontare anche ai figli, come faccio con Lucio quando lo accompagno la mattina all’asilo:
Alla fine, il prestigio si costruisce con la partecipazione, la storia recente e le emozioni. L’Australian Open è passato da torneo di passaggio a fucina di leggende moderne, e se i tifosi ancora lo considerano il meno prestigioso dei grandi Slam, è più per abitudine che per logica. Forse tra qualche decennio nessuno si ricorderà più degli anni bui. O forse sì, e saranno parte di una mitologia unica che in qualche modo rende speciale anche chi arriva per "ultimo".
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