Immagina la scena: ti trovi su un campo da tennis, circondato da giganti, con uno sguardo di quelli che dicono ‘ma dove vado io con questa altezza?’. La maggior parte delle persone te lo legge in faccia: “Eh ma ci vogliono almeno 1.85, 1.90 per puntare in alto”. Non voglio illuderti, questa non è una favola. Ma chi vive nel mito che la statura definisca la carriera di tennista sbaglia, eccome.
Parliamoci chiaro: negli ultimi anni l’altezza media dei professionisti ATP si è alzata parecchio. Oggi si aggira intorno ai 188 cm e chi si presenta con un 1.68, per capirci, parte spesso con il destino già scritto. Lo raccontano anche i numeri: tra i primi 100 al mondo, nel 2024, la media si tiene salda sopra i 185 cm. Il servizio, soprattutto nei maschi, è diventato un’arma fondamentale. E più sei alto, più spari missili: la fisica non fa sconti. In questa tabella c’è una fotografia delle altezze tra i top player degli ultimi anni:
Posizione ATP | Giocatore | Altezza | Titoli vinti |
---|---|---|---|
1 | Carlos Alcaraz | 183 cm | 14 |
8 | Diego Schwartzman | 170 cm | 4 |
18 | David Ferrer | 175 cm | 27 |
35 | Sebastian Baez | 170 cm | 7 |
57 | Yoshihito Nishioka | 170 cm | 2 |
Se ti fermi qui, è facile scoraggiarsi. Ma la storia non si scrive coi numeri: si costruisce con le eccezioni, le testardaggini e chi non vuole stare al proprio posto nel mucchio. Fatti un giro su YouTube e cerca le partite di Schwartzman: vederlo battere colossi di due metri non è fantascienza ma realtà documentata. E Diego, con i suoi 170 cm scarsi, non gioca nei club di provincia, ma sul centrale di Parigi, Londra, New York. Nessuno regala nulla: quello che gli manca in centimetri, lui ce l’ha in scatto, timing, resistenza mentale. E ci sono altri casi da raccontare, perché la bassa statura nel tennis d’élite è rara, non impossibile.
Buttiamo giù qualche esempio che può servire da motivazione–senza filtri e senza retorica. Diego Schwartzman è solo la punta dell’iceberg. Guardiamo più vicino nel tempo e nello spazio: tra i più bassi nei top 100 ATP ci sono anche Yoshihito Nishioka, Sebastian Baez, Hugo Gaston, David Ferrer e Michael Chang. Chang, ad esempio, nel 1989 vinse il Roland Garros a 17 anni, diventando una leggenda. È stato numero 2 del mondo, con i suoi 175 cm, in un’epoca in cui la potenza non era ancora così dominante come ora, è vero; ma la testa, la velocità e il timing gli hanno permesso di cambiare il gioco. Nishioka, il giapponese tutto corse e angoli, battezzato "il folletto del circuito" da qualche giornalista, è riuscito a piazzarsi nei primi 30 ATP nel 2023 e 2024. Anche lui si muove come un ballerino, sfrutta ogni angolo del campo, si allena con ossessione sulla precisione. Ferrer invece, “El Gladiador”, a 175 cm, ha giocato tre finali Masters 1000, una finale al Roland Garros (persa contro Nadal, e chi non perderebbe contro Nadal sulla terra rossa?), e ha messo in cascina quasi trenta titoli. Il minimo comune denominatore? Niente abbonamenti in palestra per gonfiare la massa, ma ore di spostamenti laterali, ripetizioni sulla reazione, miglioramento delle rotazioni, dosi massicce di lavoro mentale. Il tennis di oggi, anche per chi non è alto come una porta d’ingresso, può ancora farti sognare: ma bisogna allenarsi con cervello. Serve trovare il proprio superpotere, che sia la velocità, il rovescio tagliato o una mano educata a toccare ogni palla.
Non storcere il naso: essere alto può sembrare sempre un vantaggio, ma nel tennis non è tutto oro ciò che luccica. Analizzando i match dei tennisti bassi che hanno fatto strada, saltano fuori almeno tre punti di forza. Il primo? La rapidità di spostamento. I giocatori più bassi sono spesso tempeste sui piedi, scattano e cambiano direzione in un attimo. A tennis non si gioca solo in avanti e indietro, ma tantissimo in diagonale: qui la velocità diventa devastante. Altro punto: il timing. I tennisti bassi sviluppano un colpo ad orologio, precisi al centesimo di secondo. Centrano meglio la palla e controllano meglio la profondità. E questo lo dicono anche i tecnici dei grandi circuiti. Terzo, ma non meno importante: la resistenza mentale e fisica. Essere più basso, se hai testa, ti fa maturare una tenuta e una durezza mentale superiori. La capacità di non sbriciolarsi quando l’altro ti serve sopra la testa, la forza di restare sempre lì anche contro avversari più potenti: tutto questo, nei match infiniti dei tornei ATP, diventa fondamentale. Ti racconto anche una scena tipica. Guarda la posizione in risposta: i più alti spesso fanno fatica sul back slice basso o sui colpi bassi vicino alla rete, mentre chi è abituato a stare “giù” per natura, li legge meglio. La percentuale di errori non forzati in queste situazioni premia i più bassi (dato USTA, stagione 2022: il 17% contro il 25% dei colleghi sopra 1.90). Non sottovalutare anche il fatto che con una corporatura più leggera, i rischi di infortunio alle ginocchia o alla schiena sono inferiori rispetto ai lunghi.
Ora viene il bello: ok, si può sognare, ma come si fa davvero? Il percorso per diventare tennista basso di successo non è quello standard. Bisogna cambiare prospettiva e scegliere allenamenti specifici. Prima cosa, il lavoro sulle gambe: esercizi quotidiani su rapidità, esplosività, cambio di direzione. Niente ore inutili a fare solo pesi, ma circuiti con scale, balzi, rapidità su brevi distanze. Esercizi come il “ladder drill” o la “shuttle run” non dovrebbero mai mancare. Poi tanta, tantissima qualità sul colpo di risposta: nei match pro, i servizi superano ormai i 200 km/h con disarmante facilità. Fondamentale costruire la capacità di leggere il servizio, rispondere basso e trovare angoli dove avversari alti faticano. Serve che la mano sia ferma come un chirurgo: ore sul rovescio slice, sul recupero a palla bassa, sulla difesa attiva. La terza grande area: l’attenzione mentale. Fare sport alla tua altezza richiede concentrazione maggiore e pazienza. Allenati da subito a non mollare col gioco psicologico: esercizi di visualizzazione, lavoro con psicologi sportivi, studio degli avversari e delle loro abitudini. Ultimo, ma da non scordare: il coach. Scegliti qualcuno che non ti dica solo “sei basso, ma corri”, ma che conosca davvero la storia dei tennisti meno alti, che ti faccia vedere video e ti trovi drill apposta. Più il lavoro è mirato, più si azzera la differenza. Vale anche la pena prendersi cura delle abitudini di vita: stretching, alimentazione adeguata, prevenzione degli infortuni, allenamenti periodizzati e recupero. Insomma, gioca sulla qualità, non sulla quantità.
Allenarsi su tecnica e fisico è essenziale, ma la partita vera si gioca spesso tutta nella testa. Se vedi ogni centimetro in meno come una sentenza, perdi in partenza. Chi ha pochi centimetri di vantaggio spesso si siede sugli allori, mentre chi deve rincorrere ci mette il doppio della fame. Zelanti, fastidiosi, tenaci: sono questi gli aggettivi che gli avversari usano per descrivere i tennisti bassi che non mollano. Ecco il punto cruciale: il tennis è uno sport di outsider, non di predestinati. Ricordati la famosa frase di Agassi: “Si vince con l’anima e la fatica, non con i centimetri”. Mettila così: se sei 5’6’’ e in Italia la media dei coach ti dice che “non ce la farai”, aumenta l’impegno. Lavora sui limiti percepiti: trasforma il servizio in qualcosa di imprevedibile, usa il serve & volley, diventa il più rapido nei recuperi. Circondati di persone che credono davvero al percorso. Credere di potercela fare cambia il modo in cui ti alleni, affronti le sconfitte e migliori. Il segreto sta nell’accettare i limiti senza incastrarsi negli alibi: chi diventa ‘grande’ da basso lo fa sempre controcorrente, e proprio per questo viene ricordato. Quando agli Internazionali d’Italia del 2023 Nishioka ha battuto Khachanov (alto 1.98), nessuno pensava potesse succedere. E invece. Si tratta di entrare in campo ogni volta senza sentirsi minori, ma con la voglia di essere la variabile impazzita: quella che li fa sudare anche se hanno più chili e centimetri.
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